42) "SUITE" - EMANUELE FINARDI | MILANO

Interno notte.

Una valigia, aperta, distesa per terra.

Fuori, i rumori della città; un profumo di metropoli che riesce a salire sin quassù, all'ultimo piano del grand hotel, arrampicandosi sui cornicioni e passando miracolosamente tra le fessure inesistenti delle finestre.

Sarebbe anche un accompagnamento gradevole, filtrato come è dall'aria del decimo piano. Ma quello che non si può sopportare è la sua mistura con i suoni che, dalla parte opposta, la parete traspira. E' la stessa splendida sensazione che ti frana addosso quando, appena uscito da un raffinato bistrot, gusti il sottile aroma di alta cucina macerarsi nel ventre fritto del pullmino che vende hot-dog.

Nella stanza accanto un quartetto sta provando l'ennesima sinfonia nordica, con un impeto e delle urla tali da sembrare, ad orecchio, più una orchestra be-bop che non un delicato ensamble praghese, come era riportato sul registro nella hall.

Lasciamo perdere. Ci abitueremo presto a questo stralunato battuto di erbe musicali ed esistenziali.

Nella penombra, come taglio di lama uno spicchio di luce. E di decenza.

Il mittente è l'abat jour del bagno, una di quelle lampade che parlano balbettando. Di una tale retorica intermittente che potreste scriverle.

L'indirizzo è facile, sta sopra il lavandino e sotto lo specchio, sulla sinistra appena varcata la porta smerigliata ad arte: per proiettare verso il guardone ombre senza sesso, immaginabili a piacere. E che piacere... (segue - totale battute: 15769)

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[ 26 agosto, 2009 ] • [ eureka ]

41) "C'EST LA VIE HOTEL" - EMANUELE FINARDI | MILANO

La donna si guardò nello specchio in penombra della stanza d'albergo e non si riconobbe. Di chi era quel corpo allampanato e stanco, sormontato da una testa che faceva pensare ad un uccello spaurito?

E mentre questi fantasmi abitavano la sua mente si scoprì a guardare il bagliore bluastro di neon, pubblicità e rugiada, che penetrava dalla finestra francese violentandone i contorni bianchi.

In fondo, il suo presente assente era come quel giovane magrebino intento a ripulire il marciapiede prima della nuova asfaltatura: bisognava fare presto, perché il capomastro sarebbe arrivato tra poco con il suo carico di frustrazioni di chi piega la schiena la mattina presto.

Un fardello di bile concepito dal lavorare al contrario, nella ingiustificabile fatica di chi suda mentre altri si godono il letto, le sue lenzuola calde, il tepore di baci e carezze, ermafrodite o duali.

Vai a spiegarlo tu al corpo che chiede il riposo, ormai esausto dopo l'ennesima serata passata da Calogero rincorrendo il Bardolino novello o l'ennesimo caffè veramente espresso.

E, invece, bisogna rimettersi in marcia, addirittura quando anche il sole sta digerendo la sbornia di chiaro del giorno prima.

Gia’ difficile. Ma ancor piu’ se e’ il vetro di questo albergo savoiardo a ricacciare indietro sadicamente il poster di una esistenza consumata sul filo sottile del margine... (segue - totale battute: 8425)

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[ 25 agosto, 2009 ] • [ eureka ]

40) "OCCHI NERI DI CAVALLO" - ANNA COMPARINI | SESTO FIORENTINO (FI)

E’ bello come il sole.

E vuole me.

Non so cosa succederà, ma in questo momento lo voglio anche io.

L’ho incontrato per caso. I miei occhi hanno sbattuto contro i suoi.

Occhi neri. Da cavallo di razza.

In quegli occhi, senza accorgermi, mi ci sono infilata dentro come un’adolescente.

Molte parole tra di noi, anche se tra queste troppi nascondimenti per come io sono abituata a vivere la vita.

Io sono acqua trasparente, acqua calda dei mari del mediterraneo; lui sebbene trasparente, acqua gelida di ruscello. Insieme, ho pensato sorridendo, quasi un rilassante centro di benessere.

Nessuna domanda ulteriore.

Nessun inutile e improbabile cenno di conferma.

Adesso sono qui, che cerco su Internet un luogo dove poter sognare assieme a lui. Magari solo per un week end. Per adesso non mi interessa. E sarà una sorpresa... (segue - totale battute: 10682)


[ 11 agosto, 2009 ] • [ eureka ]

39) "SBRIGHIAMOCI" - ALESSANDRA MR D'AGOSTINO | BASIANO (MI)

R. le aprì la porta della macchina.

Aspettò che salisse, poi chiuse ed entrò dall’altra parte.

Allora? Ti va?, chiese voltandosi.

Se son qua si vede che sì, noo?

Allora sbrighiamoci. Non ho molto tempo, disse guardando l’ora.

Come sempre..sussurrò lei senza farsi sentire.

La berlina scura accelerò sulla statale. Prese la prima uscita, verso B.

Imboccò poi lo stradone verso il centro città.

Parcheggiarono in piazza. Proprio davanti all’hotel.

Il vecchio spense il motore.

Allungò la mano sul ventre di lei.

Allora? Andiamo?... (segue - totale battute: 1682)

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[ 07 agosto, 2009 ] • [ eureka ]

38) "HOTEL RESORT" - ANDREA SAVIANO | BASSANO DEL GRAPPA (VI)

Era stato un fine settimana di passione e solo adesso, sulla strada del ritorno, Arturo sentiva incombere su di lui la stanchezza dovuta a quelle notti insonni.

Più di una volta la palpebra era calata sostituendo alla monotona corsia autostradale un placido e alettante buio che conciliava il sonno. Ogni volta era stato in grado di reagire in tempo, ma era ovvio che la cosa non poteva andare avanti così.

Era inutile e rischioso proseguire in queste condizioni quel lungo viaggio nel cuore della notte. Decise che fosse più salubre uscire al primo svincolo e cercare un piccolo albergo in cui trascorrere il resto della notte, tutt’al più un’area di sosta dove poter pisolare un’oretta.

Arturo vide un cartello stradale che preannunciava un’uscita, inserì la freccia a destra a cominciò a sterzare. La doppia curva a esse fece dondolare l’auto e ninnare il conducente, a quel punto fu naturale calare la palpebra. Un attimo, un solo istante in cui l’auto scivolò dritta contro il paracarro a protezione della cabina del pedaggio.

L’esplosione dell’air-bag fece destare nel peggiore dei modi l’autista.

Ripresosi dallo spavento, Arturo slacciò la cintura di sicurezza ringraziando Dio d’essersi rammentato di metterla. Una volta sceso dalla vettura l’iniziale gioia si trasformò in sconforto, perché la sua adorata auto era ridotta a poco più d’un rottame... (segue - totale battute: 8110)

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[ 04 agosto, 2009 ] • [ eureka ]

36) "MOONLIGHT" - MIRELLA PUCCIO | PALERMO

Accadeva di tanto in tanto che per scacciare la malinconia, prendevo un bicchiere del nostro vino preferito. Accese le candele, inserivo nel lettore un CD e sprofondavo nel divano. Riempivo il primo calice della serata di Moonlight, come mi piaceva chiamarlo, e assaporandolo i ricordi più belli affioravano impetuosi.


Era iniziata la mia serata in Sua compagnia…


L’aroma intenso di quel vino rosso rubino, sulle note di Sister Moon, la nostra canzone, mi riportava alla mente i giorni spensierati trascorsi in Toscana.


Così iniziò la nostra storia...


C’incontrammo alla reception di un hotel a Firenze. Ero appena arrivata e attendevo pazientemente il mio turno per il check-in, davanti a un gruppo di spagnoli, una coppia di americani e un uomo. Nell’attesa iniziai a sfogliare il dépliant dell’hotel e a guardarmi intorno. La receptionist aveva ultimato l’assegnazione delle camere agli spagnoli, adesso si stava occupando degli americani, mentre il suo collega era impegnato in un’interminabile telefonata.

L’uomo davanti a me si girò con un gran sorriso spiegandomi che era sempre così, ma si trovava talmente bene in quell’albergo che valeva la pena aspettare. Stavolta si sarebbe trattenuto qualche giorno in più per visitare meglio la città e i dintorni. Era nato ad Arezzo, ma per motivi professionali risiedeva a Torino; fortunatamente tornava spesso in Toscana ed era diventato un cliente abituale dell’albergo. In effetti, l’hotel emanava un fascino sottile, con i suoi arredi d’epoca e gli alti soffitti con affreschi del ‘700, le tende in lino candido e i candelieri d’argento, le luci soffuse che si mescolavano ai raggi del sole e i bouquet di lilium intonati alla splendida tappezzeria raffigurante il giglio, simbolo della città. Fra i colori predominavano il verde in tutte le sfumature, ocra e beige, che contribuivano a rendere l’atmosfera calda e accogliente... (segue - totale battute: 18956)

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[ 04 agosto, 2009 ] • [ eureka ]

35) "IL VECCHIO DI SOPRA" - GIUSEPPE ADDUCCI | CARATE URIO (CO)

Caro Alberto, è tanto tempo che vengo in questo albergo, come tu sai. Ci venivo anche da bambina con i miei. C’è un fatto però che non conosci. E’ una sciocchezza, per questo mi sono sempre vergognata di parlartene, ma è diventato ogni giorno di più una malattia. Sto parlando del vecchio di sopra.

Ricordo che da bambina mia madre mi portava in giardino qui fuori a giocare, la mattina. Quando il tempo era particolarmente bello mi lasciava in mezzo al praticello a fare capriole e a raccogliere i trifogli, mentre lei chiacchierava con altri clienti. Dopo qualche tempo tornava a prendermi, mi teneva in braccio e mi solleticava dolce dolce sotto il mento. A volte capitava che alzasse lo sguardo alla finestra della stanza di sopra e allora salutava il vecchio. Io non riuscivo a vederlo perché il sole a quell’ora mi batteva sempre forte negli occhi, e non riuscivo a sentire il suo saluto di risposta; la mamma mi diceva che lui rispondeva con un sorriso e con un cenno del capo.

Già allora si diceva che il vecchio usciva poco; stava seduto dentro a leggere, e a tutti era simpatico perché non dava fastidio e non si lamentava mai del rumore di noi bambini. Alcuni dicevano di aver ricevuto da lui dei dolci e delle caramelle, ma secondo me erano tutte invenzioni perché volevano far credere di conoscerlo.

Papà la sera mi diceva di non fare rumore perché i vecchi vanno a dormire presto e hanno il sonno leggero ed è l’ultimo che gli resta. “Faranno tanto di quel dormire poi”, diceva, “che adesso ne risparmiano un po’”. Però anche se era buono ed era simpatico a tutti, quel vecchio a me faceva un po’ paura. Non riuscivo mai a vederlo, come fosse sempre al buio; per questo mi faceva paura... (segue - totale battute: 7380)

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[ 04 agosto, 2009 ] • [ eureka ]

34) "L'ULTIMA VOLTA" - GIUSEPPE ADDUCCI | CARATE URIO (CO)

Ultimo atto, ultima scena, ultimo tutto. Il sipario di velluto rosso si squarta nel centro: un interno, la camera numero 3 del nostro solito albergo.

 Seduta sull’angolo del letto mi guardi, con quegli occhi grossi di tristezza e rimprovero e pena e senso di colpa, mi guardi. Sai che ho parole diverse, dolci e migliori - ma... ti pare? Mia piccola, amara Maria - ti pare?

 Hai una lacrima per ogni parola, ed è per questo che non vorrei parlare. Invece parlo. E piangi. Maria piccola, Maria brada e Maria domestica, tenero amore Maria e Maria sangue acceso, Maria santa. Puttana. No, resta, risiediti che dobbiamo ucciderlo insieme quest’amore: se te ne vai ora muore solo a metà, e l’altro mezzo sguazza, scalcia come un cavallo azzoppato e batte la testa ottusa sul palco di questo ultimo atto. Ti ho letto mille e cento storie addolcite, qui, la sera, per farti addormentare; che importa se una mi sfugge così amara?

 “Maria”, e non ti guardo, che me ne vergogno, “ com’è lui?”.

 “Non facciamoci male, amore”, mi dici nascondendoti nel fazzoletto intriso di muco aggrinzito e striato di ombretto. Proprio tu, Maria, malata di pulito, che sogguardavi ogni collo delle mie camicie, che contestavi la cenere delle mie sigarette distratte, che dicevi “Mi lavo” e per nove anni l’hai detto - prima di incollarmi addosso il tuo sudore e... Proprio tu, Maria?“Il reportage fotografico è pronto” disse Elizabeth al direttore editoriale.
“Lascialo nel mio studio. Più tardi darò un’occhiata” rispose Edward.
Non sapeva che questa volta avrebbe trovato un servizio completo.
“Victoria mi ha detto che il viaggio a Milano è stato fantastico”.
“Decisamente accattivante”, aggiunse Elizabeth, lasciandosi alle spalle l’ufficio di Victoria, il capo redattore. L’amica era rimasta stupefatta leggendo l’articolo che Elizabeth aveva scritto per l’occasione. Si conoscevano da molti anni, ma Elizabeth non aveva mai approfittato di un’amicizia che le univa fin dal tempo dei banchi della scuola e che le avrebbe permesso una rapida escalation. Il suo autentico talento non aveva bisogno di troppe “sgomitate”, né tanto meno di adulazione.
La mente tornò a qualche giorno prima. Aveva scattato molte fotografie, ma dovevano essere accompagnate da parole adeguate ai significati delle immagini. Quando fissava le emozioni con il suo obiettivo, sapeva che la scrittura avrebbe dovuto trasmettere qualcosa di più. Non poteva lasciare ad altri le sensazioni vissute così da vicino. Questa volta Daniel non si sarebbe occupato della stesura. Ripescò gli appunti scritti in modo illeggibile. La sua calligrafia sembrava mantenere un desiderio segreto, quasi a trattenere, fino all’ultimo, la sua espressione più intima. Il computer avrebbe ordinato l’articolo, ripulendolo dai geroglifici. Da molti anni lavorava per quella rivista come fotografa, ma non si era mai occupata di scrittura. Rilesse la pagina lasciata nello studio, accanto ad un plico di foto che tappezzavano la scrivania. Risentì le vibrazioni vissute giorni prima e fissate su quei fogli.
“L’antica armatura proiettava sul soffitto una luce magica. Il guardiano dell’Hotel possedeva il fascino di un tempo lontano che esplodeva nei riflessi dorati delle sue giunture”.
Alessandro, l’addetto alla reception, l’aveva accolta nella hall con i suoi modi essenziali e pregni di distinta riservatezza. Dopo aver consegnato i documenti, aveva sentito il bisogno di addentrarsi nell’ambiente, sospinta da un richiamo inspiegabile. Due alte colonne l’avevano introdotta in una stanza costellata di particolari, da gustare con attenzione. Aveva osservato gli affreschi che abbellivano le pareti e conferivano all’ambiente l’atmosfera del tempo... (segue - totale battute: 8492)

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[ 04 agosto, 2009 ] • [ eureka ]